| Di cotanto rancido candore le guance di quel bimbo si illuminavano, sotto il sole smorto dell’inverno arrivato. Come se la neve lo distogliesse dagli pipistrelli, dai tarli che già nella mente erano stati annidati con ferocia e incoscienza e portava solo dodici anni sulle sue piccole spalle e contava ancora i suoi bianchi denti da latte, fragili, come fragile era il destino di quel bimbo. Cosa c’era in quella neve, in quei cristalli perfetti scesi dal cielo, per una pura e semplice casualità d’atmosfera, che lo attirava così tanto, da spingere Luce a scendere, quando non ne aveva voglia, giù nel placido giardino della Day Class, così poco visitato dai vampiri, per piacere e sollievo della madre adottiva, che il bimbo poteva permettersi di correre e nascondersi, se voleva, che nessuno sarebbe passato di lì, nessuno avrebbe rotto o infranto la tranquilla mattinata invernale. Avevano ormai da parecchi mesi portato quel pargoletto alla Cross, sotto consenso dei Preside, e Luce non provava particolare interesse nei suoi confronti, seppur aveva preso l’abitudine materna nel crucciarsi, se la notte lo sentiva piangere. Non avendo la stessa camera lei e Lamia se lo dividevano, come se dovesse già subire il divorzio delle sue nuove mamme, eppure, la cacciatrice dagli occhi rossi, non aveva mai pensato di chiedere all’altra di venire in stanza da lei, di colmare il vuoto di quel terzo letto abbandonato da un’altra studentessa, molti anni fa, di cui ormai ricordava appena il viso. Eppure nessuno l’aveva molto notato e lei aveva badato bene a nasconderlo alla vista di amici che le avrebbero fatto domande a cui non voleva rispondere ed erano domande che il suo stesso riflesso poneva a lei stessa e nei giochi di parole la mente sua oziava. Cos’era quel bambino salvato? Forse un messia? Altre domande sciocche, poiché le ombre non rispondono e Luce era talmente folle da chiacchierare con la sua ombra o con la sua immagine impressa nell’universo, poiché parte di un gioco così grande che non intravedeva. Messia o Distruttore del mondo e degli ideali di quella scuola, ciò dipendeva, forse, da lei e da Lamia, che presto sarebbe giunta per vedere il piccolo, per giocare con lui, forse. Luce aveva perennemente impresso nella mente la sua infanzia maledetta, il suo cambio d’abito che determinò il cambiamento del mondo, il suo modo di parlare, il suo modo di atteggiarsi, tutto ciò che aveva fatto di lei, per fortuna o sfortuna, ciò che era in quel momento e non solo ombra, carne e lettere che si riferivano alla luminosità, ma molto di più! Luce serbava in cuore un segreto così maledetto che lo dimenticò persino!
«Uomo, se nasci buono perché questo mondo ti distrugge? E cerca di camuffare l’innocenza infantile, rendendola il tumore pestifero, il pargolo del demonio, la natura immonda; quando ogni cosa appartenente alla natura non può essere altro che...giusta. Com’è giusto che questa neve cada per ringiovanire me e i miei pensieri, perché diffonde gioia, perché ammazza il nostro smog quotidiano perché, perché, perché...e sono solo domande le briciole che mi restano da raccogliere, senza che mai giunga alla fine, senza che mai la mia maschera cali come l’alzarsi del drappo pesante e caldo del sipario teatrale che tutela e protegge un mondo reale creduto folle, da un mondo folle creduto reale. Ma qui di reale sento solo le sue risate, note leggere che volano come questa neve che, come ho detto, viene più volte paragonata alla purezza, come se bastasse il bianco per estirpare il male e non si pensa a quanto questo fiocco di neve pesi alla terra, gravi ai germogli, ai ciuffi d’erba, agli alberi che privi della loro pelliccia, perché scuoiati dalla natura, devono perire sotto le intemperie! Oh se son folle lo sa solo chi mi amò! E forse non mi amò nessuno e non lo saprò mai se queste parole impetuose son frutto di una o l’altra sponda, che se si scontrassero, in un bacino, dove tutto ciò che è in me ristagna e galleggia armoniosamente, scontrandosi in mulinelli di forza, creerebbero solo l’inondazione dei miei occhi e distenderebbero le mie labbra in un sorriso. Così mi fa sentire questo bimbo...strappato alle braccia materne che lo sapevano cullare, dato a me, che con le mani ho solo saputo uccidere; ed è stata la migliore delle azioni.»
Così farfugliava pensosa Luce, mentre il piccolo correva e girava fra le piante innevate di neve, tuffandosi a terra, scomparendo dietro un tronco per poi ricomparire con il viso turbato dal freddo esterno e accarezzato dal calore interno della sua gioia. Ma d’un tratto, finito quella specie di rigurgito interiore, Luce alzò gli occhi e le tracce del piccolo erano svanite; la neve aveva ricoperto già ogni impronta di piede, si vedeva qua e la solo qualche fossa che lui fece buttandosi a terra, per rotolarsi nel morbido e candido elemento...e allora un sussulto al cuore la fece alzare, il timore immenso che un vampiro, sfuggito ai Guardian, fosse arrivato nella Day Class la turbo e le crucciò il viso. La mano già correva sotto la gonna alla ricerca del pugnale. Qualcosa si muoveva non poco lontano da lei e i tumulti aumentavano, una paura strana, innaturale, mai provata la spingeva alla rabbia più cieca per chi le avesse sottratto quel bambino, senza chiederle permesso. Avrebbe tinto quel manto candito della scarlatta fonte vitale d’ogni creatura e del suo corpo ormai svuotato, ne avrebbe fatto brandelli per i pesci del laghetto, tanto forte era la preoccupazione ora che nulla le sembrava più com’era prima e quel posto divenne immediatamente una trappola per lei e per quel bambino. Qualcuno si stava avvicinando alle sue spalle...qualcuno...
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